Nicolas Maupas è Albert de Morcerf in “Il Conte di Montecristo”

Se già ci aveva conquistati con “Un professore” e ancora prima con “Mare fuori”, ora è arrivata la “consacrazione” internazionale

3 Febbraio 2025 alle 09:00

Se già ci aveva conquistati con “Un professore” e ancora prima con “Mare fuori”, passando per “Odio il Natale” e diverse altre serie made in Italy, ora per Nicolas Maupas è arrivata la “consacrazione” internazionale. Ha interpretato infatti Albert de Morcerf nella fiction di Rai1 “Il Conte di Montecristo”: «Sono molto orgoglioso, è stato un super traguardo arrivato all’improvviso e una grandissima avventura».


Ti hanno proposto la parte per “chiara fama” o hai partecipato a un casting?
«Mi hanno proposto la parte e ho fatto un provino, anche se il percorso per ottenere il ruolo è stato breve».

Cosa ti hanno chiesto di fare durante il provino?
«Un pezzo della scena all’Opera di Parigi in cui Albert scende le scale e sfida a duello Montecristo».

Una delle scene più intense.
«Ero abbastanza spaventato. Ho sempre una sana paura ai provini che però mi galvanizza. Inoltre era pure in inglese, perché è in questa lingua che abbiamo girato».

Hai avuto problemi?
«Diciamo che ero abbastanza comprensibile durante le riprese anche perché ci hanno affiancato un coach, Simon, con il quale facevo lezione la mattina o il pomeriggio su Zoom, vivendo lui a Londra, e a volte in presenza».

Conoscevi il romanzo di Alexandre Dumas?
«All’epoca non lo avevo ancora letto, ma lo conoscevo perché i miei genitori me ne avevano parlato. L’ho recuperato per il progetto, è un bel tomo, e poi la sceneggiatura è stata molto d’aiuto. È stata la prima cosa su cui mi sono appoggiato ed è molto fedele al romanzo originale».

Livello di preoccupazione dopo aver studiato tutto il materiale?
«Quando arriva un ruolo così, è talmente una grande occasione che la paura passa in secondo piano, ero più emozionato che altro. Ero molto gasato all’inizio e poi è stata una conferma continua. Abbiamo girato in posti incredibili, soprattutto a Parigi ma anche a Torino e Roma».

La vendetta è la grande protagonista della storia. Che rapporto hai con lei?
«La vendetta è una cosa umana e normale, non è difficile che le persone pensino di vendicarsi quando subiscono piccole ingiustizia della vita, credo sia naturale. Personalmente mi è appartenuta più durante l’adolescenza, in una fase di vita molto emotiva, più esposta alle emozioni e dove si è maggiormente istintivi, ma mi sono reso conto che non lo sono più di tanto, non sono mai arrivato a vendicarmi “fino alla fine”, confido di più nel karma».

Quanto è forte dentro di te il senso di giustizia?
«Mi trovo scomodo nelle situazioni ingiuste, per istinto mi viene spontaneo andare contro una cosa che reputo ingiusta, mi sono sempre schierato nel mio privato, se qualcosa non mi tornava ho cercato di farlo capire e andare nella direzione che per me era più corretta. Credo sia una cosa importante, soprattutto oggi».

Torniamo sul set. Raccontami il tuo primo giorno.
«La notte prima ho dormito pochissimo. Eravamo nella casa di campagna del Conte che si trovava a un’ora e mezza di auto da Parigi. Pensavo fosse sbagliata la strada perché non arrivavamo mai. La villa era enorme e pure la troupe. Le prime cose che ho visto erano le stanze ricostruite, piene di pozioni e intrugli. Ho perso due ore dentro il laboratorio di Montecristo. Il primo giorno non avevo battute, dovevo fare solo un cenno. È stato un inizio soft».

Invece le prime battute, dopo tanto studio dell’inglese, come sono andate?
«Bene, ovviamente all’inizio ci può essere la paura di fare bene, dovevo accordarmi con la tonalità di un’altra lingua, ma è stato divertente e l’inglese aiuta tanto nella recitazione e ti permette di trovare una strada diversa nel modo di parlare. Devo ringraziare Sam (Claflin, che interpreta Montecristo, ndr) che mi ha aiutato tantissimo per l’accento e le battute. In hotel mi ha proposto di fare delle prove sulla lingua».

Trucchi per entrare nei panni di Albert?
«L’abito fa tantissimo, essendo poi d’epoca già questo ti aiuta per la postura e il modo di porsi in scena. Ho anche chiesto tanto agli altri cosa pensassero del personaggio, sia attori e colleghi sul set ma anche fuori. Ne ho parlato con il regista Bille August e ho chiesto anche a mia mamma quale fosse la sua visione di Albert. Poi ho cercato di fare un ricerca personale».

Tuo papà è francese. Com’è stato andare a Parigi vestito come un damerino dell’800?
«Molto divertente, sopratutto quando per raggiungere il set camminavamo per strada in abito d’epoca. È stato bello interfacciarmi con i vari reparti parlando in francese, essendo io bilingue. Il modo di lavorare non è molto diverso dal nostro, ma cambiare lingua mi ha portato fuori dalla zona sicura».

Una scena particolarmente complicata?
«Bille è molto chiaro, sa quello che vuole e dà indicazioni precise. Ma sicuramente le scene più complicate erano quelle di rabbia. Ci sono litigi e sfoghi in cui Albert è estremamente agitato e quella cosa lì è stata più complicata perché è un giovane dell’800 ed è diverso da quelli di oggi, la rabbia è meno istintiva e più posata. Albert ha anche un ruolo nella società e non può dare libero sfogo alla rabbia. Ho dovuto trovare la giusta via di mezzo».

Da quando hai iniziato con “Mare Fuori” nel 2020 non ti sei più fermato. Ti spaventa tutto questo successo?
«Poche volte mi sono guardato indietro per rendermi conto di quante cose siano successe negli ultimi anni. Cerco di andare veloce, di stare al passo con le cose che mi stanno succedendo. A volte non mi rendo conto appieno della situazione, per innocenza e perché sono concentrato su quello che sto facendo. Però è vero che se mi fermo un attimo a pensare mi rendo conto che è sorprendete, anche se per me è “normale”. Non mi pesa la popolarità, mi fa piacere raccontare il mio lavoro e mi piace lo scambio con il pubblico, riesco a gestirlo abbastanza bene, sto poco sui social e ho poche interazioni».

Non è straniante passare da un set internazionale a uno italiano, come “Un professore”?
«Cominciamo a girare tra un paio di mesi. Ho appena terminato un progetto per il cinema. L'impegno in un progetto dipende anche da quante pose hai. Differenze non c’è per il momento, se non per una questione di lingua o di qualche abitudine che cambia».

In cinque anni sei già arrivato a essere diretto da un premio Oscar, Bille August. Cosa chiedere di più ai tuoi sogni?
«Vorrei trovarmi più pronto la prossima volta, vorrei accrescere il mio bagaglio di esperienze per ridare indietro un po’ di più. Spero di continuare a tenere i sogni dove sono in questo momento, di lavorare con impegno e dedizione».

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