Produttore di più di 150 film - di cui ha diretto circa un terzo – se chiedessimo a Steven Spielberg quale sia il suo lavoro ci risponderebbe come fece nel 1985 al Time: «Io di mestiere sogno». Coetaneo e amico di George Lucas, Francis Ford Coppola, Martin Scorsese e Brian De Palma, a differenza loro non ha frequentato nessuna prestigiosa scuola di cinema, ma ha comunque partecipato alla nascita della Nuova Hollywood degli Anni 70. Film di intrattenimento, pellicole efficaci, piacevoli e soprattutto molto redditizie, che avevano fatto dell’incanto il marchio di fabbrica. Nei primi anni Duemila il regista di Cincinnati cambia registro, incupendosi: dall’incanto passa al disincanto, attingendo soprattutto alla Storia.
Il pubblico non sempre reagisce bene, ma l'opera del regista è talmente vasta e vivace che è quasi impossibile riassumerla. Da enfant prodige nel 1959 (gira il suo primo corto a tredici anni) ad adulto inquieto nel 2018, con circa venti film in produzione fra sequel, opere originali e adattamenti, da «Tintin» a «Men in black» e «West Side Story». Spielberg ha scritto la storia del cinema degli Anni 80 e 90 con pellicole e personaggi immortali, sia come regista (Indiana Jones, Elliott ed E.T.) che come produttore: i Gremlins, i Goonies e soprattutto Marty McFly e il dottor Emmett Brown. Nel 1981 fonda la Amblin Entertainment e nel ’94 la DreamWorks, con la quale produrrà anche serie animate di immenso successo italiano: i «Tiny Toons», gli «Animaniacs», e «Mignolo e Prof».
A metà degli Anni 90 risulta l’uomo più ricco del mondo dello showbusiness dopo Oprah Winfrey, che aveva diretto ne «Il colore viola». Oggi, secondo Forbes, è ancora uno dei 500 uomini più ricchi del mondo. Il Daily Telegraph lo inserisce al 26esimo posto fra i 100 geni viventi e il 21 marzo scorso i nostri David di Donatello l’hanno insignito della statuetta alla Carriera, che va ad aggiungersi ai due Oscar ricevuti per «Schindler’s list», a quello per la regia di «Salvate il soldato Ryan», ai tre Golden Globe, i quattro EMMY e il Leone d’Oro. Tanti anni di esperienza e resta salda una tradizione: non essere presente durante l’ultimo giorno di riprese. Ai tempi de «Lo squalo» sembra infatti che tutta la troupe avesse pianificato di gettarlo in mare a film ultimato: Spielberg non si presentò sul set.
Firelight (1964)
È il progetto più ambizioso della gioventù di Spielberg, un film di fantascienza in 8 mm di due ore e un quarto, scritto dalla sorella Nancy. «Firelight» anticipa i temi di «Incontri ravvicinati del terzo tipo»: famiglie disfunzionali, periferia americana, bambini rapiti e attacchi UFO. Viene proiettato in un cinema di Phoenix, appositamente affittato dal padre durante una serata speciale, prima che il regista si trasferisca in California insieme alla sua famiglia: Spielberg ha diciassette anni.
Eyes (1969)
A 22 anni (ma ne dimostra appena 17) gli viene chiesto di dirigere un mostro sacro non facile, la 63enne Joan Crawford, nell’episodio «Eyes» della serie NBC «Mistero in galleria». Dimostra di saper padroneggiare la macchina da presa con una certa inventiva, si concede i suoi amati pianisequenza: conquista la fiducia del set ma non quella dei produttori, che gli consigliano di placare la vena “avanguardistica”. Fino al 1973 gira una decina di telefilm, imparando la velocità di ripresa.
Duel (1971)
Il primo lungo di Spielberg viene trasmesso nel ’71 sulla ABC e l’anno successivo approda nelle sale, prima in quelle europee, con un’aggiunta di quindici minuti. Il successo è clamoroso: conquista perfino François Truffaut, che parla dell’opera definendola “primo film modello”: la trama è riassumibile in due righe (un uomo alla guida della sua auto viene perseguitato da un camion nel deserto americano), i personaggi sono ridotto all’osso. Nomination al Golden Globe come miglior film TV.
Sugarland Express (1974)
Primo vero lungometraggio per il cinema, ancora ambientato per strada: si tratta, questa volta, della strada del Texas. Ma se «Duel» raccontava di un inseguimento, «Sugarland Express» si incentra su un’evasione: Goldie Hawn (29 anni e già vincitrice di un Oscar) convince il marito William Atherton a scappare dalla prigione per recuperare il figlio, affidato dai servizi sociali a due anziani. Sottende una critica ai mass-media, ebbe mediocre successo di pubblico. Premio per la migliore sceneggiatura al festival di Cannes.
Lo squalo (1975)
L’acqua salata corrode lo squalo meccanico durante le riprese a largo del Massachusetts e il modesto budget triplica all’aumentare degli effetti speciali: sarà la fortuna della pellicola. «Lo squalo» esce nel giugno del 1975 e diventa moda tra i giovani del cinema estivo. Visto oggi, sembra più un film di serie B girato in assoluta maestria che non il blockbuster che fu. John Williams vince BAFTA, Golden Globe e Oscar per la colonna sonora; premi anche al montaggio e al sonoro, niente invece per Spielberg.
Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977)
Sorta di preludio a «E.T.», dove – a differenza di questa pellicola – l’incontro con l’extra-terrestre sarà centrale. Entrambi i film, di ambientazione notturna, sono fatti di cieli stellati e aloni luminosi, di incanto e stupore: il contatto con gli alieni non è altro che una fuga dal quotidiano. L’amico François Truffaut interpreta uno scienziato che parla “franglese”. Stando ai patti di una scommessa, George Lucas guadagna il 2,5% degli introiti provenienti da questo film, per Spielberg arriva la prima nomination all’Oscar per la migliore regia.
I predatori dell'arca perduta (1981)
La saga di Indiana Jones nasce grazie al sodalizio con George Lucas, praticamente un gemello allontanato alla nascita: col bell’archeologo, i due omaggiano i film d’avventura del sabato pomeriggio degli Anni 30 e 40. Il primo titolo sarà seguito da due episodi nello stesso decennio, un sequel nel 2008 e un altro ne uscirà nel 2020. Grande successo commerciale dopo il fiasco di «1941 – Attacco a Hollywood»: fu candidato a otto Oscar e vinse quattro statuette più un premio speciale al montaggio sonoro.
E.T. – L'extraterrestre (1982)
Uno dei maggiori incassi internazionali della storia è innanzitutto un film sul divorzio dei genitori del regista: nonostante ciò, l’ottimismo pervade il futuro e ciò che verrà dallo spazio, con ispirazione disneyana. L’extraterrestre disegnato da Carlo Rambaldi (e fatto muovere da un nano nascosto al suo interno) è tornato nel 2002 in una catastrofica ri-edizione digitale, e poi ancora, censurato, dopo l’11 settembre. Quattro Oscar, due Golden Globe, un BAFTA: nessuno per Spielberg ma molti per John Williams.
Ritorno al futuro (1985)
La Amblin Entertainment nasce nel 1981 dall’incontro fra Spielberg, Kathleen Kennedy e Frank Marshall: il logo richiama la più famosa scena di «E.T.» mentre il nome fa riferimento al corto del ’68. La compagnia è attivissima sia nel cinema che in TV, producendo «E.R. – Medici in prima linea», «I Flinstones» e «La ragazza del treno». Ma il titolo più noto è senza dubbio «Ritorno al futuro» di Robert Zemeckis, insieme ai suoi due sequel e alle colonne degli anni Ottanta: «Gremlins» e «I Goonies».
Il colore viola (1985)
Intenzionato a girare il suo primo film impegnato, Spielberg parte dal best-seller di Alice Walker per raccontare la storia di Celie, afroamericana violentata dal padre, picchiata dal marito e negata al figlio, e del suo incontro con Shug, cantante che conduce la trama a una dimensione quasi musicale. «Il colore viola» vince il Golden Globe per l’attrice Whoopi Goldberg e viene candidato a undici Premi Oscar, tra cui quello per la performance di Oprah Winfrey. Più di dieci anni dopo, Spielberg tornerà sullo stesso tema, appesantito dalla schiavitù, con «Amistad».
Jurassic Park (1993)
Dopo aver praticamente inventato il product placement in «E.T.» con le caramelle Reese, Spielberg passa al merchandising di cappellini e magliette con il logo del Jurassic Park. Come se non bastasse, concepisce anche un genere ibrido fra la fantascienza, il film d’avventura e quello di spavento: tre categorie che conosce bene. Come il libro di Crichton, pure il film si lascia una porta aperta nel finale; seguiranno due pellicole («Il mondo perduto» nel 1997 e «Jurassic Park III» nel 2001) e un reboot del 2015.
Schindler's list (1993)
Nel 1982 Sid Sheinberg aveva acquistato i diritti del libro di Thomas Keneally; per dieci anni il regista temporeggia, rimanda, e alla fine comincia le riprese fra i due «Jurassic Park»: in Polonia visiona i progressi dei dinosauri in California. In memoria del nonno, Spielberg racconta la storia dei 1.100 “ebrei di Schindler” e istituisce la Shoah Foundation per quei 6 milioni che non hanno fatto mai ritorno. Lavora per la prima volta col direttore della fotografia Janusz Kaminski, insieme decidono per il bianco e nero: vincono entrambi l’Oscar.
Salvate il soldato Ryan (1998)
Il primo film di guerra di Spielberg si apre con i 24 minuti dello sbarco degli Alleati sulle coste della Normandia nel giugno 1944; prosegue con la ricerca del soldato Ryan, che sottolinea come la forza della storia sia nell’attesa, e non nell’azione. Eppure viene accusato di eccessivo patriottismo. Prodotto da Spielberg e Tom Hanks, costato 120 milioni di dollari, vince cinque Oscar tra cui la migliore regia. L’anno successivo il regista riceve il Premio per il Servizio Pubblico del Dipartimento della Difesa.
Shrek (2001)
Nell’ottobre del 1994 Spielberg fonda la DreamWorks insieme all’ex capo animatore della Disney Jeffrey Katzenberg e al discografico David Geffen. Il debutto nella produzione cinematografica avviene tre anni dopo, con «The peacemaker» di Mimi Leder, ma per le soddisfazioni bisogna aspettare il 2001 di «Shrek», il primo film d’animazione a vincere l’Oscar appositamente creato. Con il successo ancora maggiore di «Shrek 2», nel 2004, la DreamWorks Animation diventa uno studio indipendente.
A.I. – Intelligenza artificiale (2001)
Tra il 2001 e il 2005 escono ben sei film di Spielberg: dopo tante storie che guardavano al passato, il regista inaugura il millennio con due opere futuristiche. La prima, «A.I.», condivide la paternità con Stanley Kubrick, che avrebbe dovuto scrivere e produrre la pellicola, libero adattamento della fiaba di «Pinocchio» e del racconto di Brian Aldiss. La prematura scomparsa di Kubrick però porta Spielberg a completare da solo il film, affidandosi al bambino protagonista de «Il sesto senso». L’anno successivo è la volta di «Minority report».
Prova a prendermi (2002)
Seguono due commedie, entrambe interpretate da Tom Hanks: «Prova a prendermi» e «The terminal». Mentre la prima, girata in 52 giorni e in 147 location tra Los Angeles, New York e il Canada, è ambientata negli anni Sessanta – la seconda, all’opposto, si svolge tutta all’interno di un aeroporto, sorta di giungla fatta di segnaletiche e frecce direzionali, in cui il protagonista è cittadino di nessun luogo, impossibilitato a entrare in America. Solo «Prova a prendermi» ottiene il plauso della critica e due nomination all’Oscar.
Munich (2005)
«Munich» e «La guerra dei mondi» arrivano nelle sale statunitensi a distanza di sei mesi l’uno dall’altro: eppure non sembrano assolutamente girati in fretta. Mentre quest’ultimo racconta una catastrofe limitata al campo visivo di Tom Cruise, il primo va indietro al settembre 1972, quando i terroristi palestinesi uccidono undici atleti israeliani durante le Olimpiadi di Monaco. L’ideologia di Spielberg è chiara: la violenza genera altra violenza, ma sorgono numerose polemiche e il regista è costretto a girare un video per scusarsi.
Lincoln (2012)
Per raccontare il sedicesimo presidente degli Stati Uniti e il suo impegno nel votare il tredicesimo emendamento, quello che abolisce la schiavitù, Spielberg non lustra le armi – come tutti si aspetterebbero – ma si affida totalmente alla materia prima della politica: la parola. Ne deriva un film dai dialoghi fitti, firmati dallo stesso Tony Kushner di «Munich». Dodici nomination agli Oscar e due statuette: alle scenografie e all’interpretazione di Daniel Day Lewis, che diventa il primo attore premiato per un suo film.
The post (2017)
Durante la lavorazione del film sulla storia vera della sottrazione di Edgardo Mortara nel 1858, a Spielberg arriva la notizia che la produttrice Amy Pascal ha vinto all’asta la sceneggiatura sullo scandalo dei Pentagon Papers. In piena crisi della libertà di stampa, e con Meryl Streep unica donna a capo di un’azienda, il regista capisce che non può farsi scappare il momento storico: abbandona tutto e in pochi mesi conclude «The Post». 28esima collaborazione con il compositore John Williams, due nomination all’Oscar: per il Times è il miglior film del 2017.
Ready player one (2018)
Il riassunto citazionista di una carriera, fra la CGI e il live-action, anzi: per non apparire troppo autoreferenziale, Spielberg toglie dal libro di Ernest Cline gran parte dei riferimenti ai suoi film. Tiene i dinosauri, il cubo di Zemeckis e la DeLorean di «Ritorno al futuro» fra altri cento programmi televisivi, videogiochi e fumetti degli Anni 80 e 90. La produzione non riesce a ottenere il copyright di tutto e così la scena finale passa da «Monty Python e il Sacro Graal» all’Overlook Hotel di «Shining»: in fondo, un’altra citazione.
Capolavoro degli anni '80 di Spielberg che recupera le suggestioni del cinema della sua infanzia e della cultura popolare americana, unendo fantascienza e valori profondi