Patrick Dempsey è “l’uomo più sexy del mondo” e recita nel film “Ferrari”

«Ho adorato Modena, vorrei vivere qui». E alla polemica sugli “stranieri che interpretano italiani” risponde...

14 Dicembre 2023 alle 08:36

Incontriamo Patrick Dempsey e cerchiamo subito di capire cosa lo renda “l’uomo più sexy del mondo”. «Quando l’ho saputo ero scioccato» è stato il suo primo commento dopo la nomina della rivista “People”. «Mi state prendendo in giro, vero?». Niente affatto. Dunque: sarà il sorriso di un bianco smagliante? Sarà l’aria di rilassata sicurezza? Sarà la voce suadente? O sarà il fatto che per lui girare “Ferrari” nei panni di Piero Taruffi, uno dei più forti piloti degli Anni 50, è stato come vivere un sogno? «Mio padre era un commesso viaggiatore e ogni volta che tornava a casa mi portava una macchinina» ci spiega. «Lì è nato il mio amore per i motori: è qualcosa di profondamente personale per me, tanto che sono diventato anch’io un pilota. Per cui è stato fantastico venire a girare questo film a Modena, la patria della Ferrari. E poi ho tante connessioni con l’Italia. Nel 2013 ho anche creato una scuderia con Alex Del Piero! Un bel ricordo. In Italia trovo così tanto affetto che ho voglia di tornarci ancora e ancora... anzi, mi piacerebbe viverci».

Dove?
«Sto esplorando. Amo Roma, ma è un posto difficile in cui abitare. E l’estate in cui abbiamo girato a Modena era un po’ caldo per i miei gusti. Però mi ricorda il posto dove sono cresciuto, in una cittadina rurale del Maine, con un forte senso di comunità».

È stato difficile girare “Ferrari”?
«Il problema più grande sono stati i capelli. Non scherzo. La tintura li ha bruciati: c’è voluta una settimana perché assumessero il giusto colore, prima erano arancioni!».

Intendevamo al volante... Ci risulta che lei sia l’unico attore del film che guida davvero, senza l’uso di una controfigura.
«Ho implorato il regista di lasciarmi guidare quella Ferrari d’epoca e lui ha detto ok: si vede che mi considera... sacrificabile (ride)!».

Lei è un pilota da corsa anche nella vita, ha persino gareggiato quattro volte nella “24 ore di Le Mans”. Perché ama guidare?
«Correre per me è una forma di estasi, un’esperienza spirituale. Alla guida non puoi pensare ad altro, insegna a sentirsi vivo qui e ora».

Mai avuto paura?
«La volta che ho avuto più paura in vita mia è stata proprio girando questo film. Una notte pioveva, sull’abitacolo non c’era copertura, quasi non vedevo la strada e mentre guidavo a circa 200 all’ora ho pensato: “Ma che accidenti sto facendo?”. E ho capito che mostri di coraggio fossero i piloti di quell’epoca. Come Taruffi, che interpreto. Ho incontrato i suoi figli. Sapevo che aveva fatto una promessa alla moglie: “Se vinco questa Mille Miglia mi ritiro”. Io ho fatto qualcosa del genere. Oggi non corro più ad alto livello».

Perché?
«Perché richiede dedizione totale. In America diciamo “All in, or don’t do it”: o gli dedichi tutto, o non lo fare. E a un certo punto ho capito che non potevo dedicargli tutto, che mi mancava il tempo con la famiglia e i figli».

Al Festival di Venezia c’è chi ha detto che Ferrari dovrebbe essere interpretato da un italiano. In generale, molti sostengono che un attore dovrebbe interpretare personaggi della sua razza, nazionalità, fede, gusti sessuali, eccetera. Cosa ne pensa?
«È una questione spinosa: qualsiasi cosa dici, qualcuno ti attaccherà. Io capisco le buone intenzioni di queste idee, però dico: chiunque il regista pensi sia l’attore migliore per quella parte, dovrebbe averla. Indipendentemente da tutto il resto».

Lei in Italia ha girato anche la serie “Diavoli” con Alessandro Borghi.
«Abbiamo parlato proprio oggi! È un grande attore, intelligente, sensibile, molto professionale. Ci siamo capiti subito».

Per molti suoi fan lei è ancora il Dottor Shepherd di “Grey’s Anatomy”. Che morì bruscamente...
«Sì, e sono ancora un po’ seccato. Come lo erano gli spettatori».

Se mai il personaggio “resuscitasse”, le piacerebbe tornare nella serie?
«No. Sono grato a quel ruolo ma ormai appartiene al passato. E sono contento che qualche giovane abbia deciso di fare il medico dopo avermi visto. Io ho creato una fondazione per i malati di cancro, perché mia mamma ne è morta. Questo dà un senso alla mia vita, perché alla fine siamo qui per dar vita a qualcosa di utile per gli altri. Per servire a qualcosa».

Seguici